Salmo 15

1bProteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

2 Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene».

3 Agli idoli del paese, agli dèi potenti andava tutto il mio favore.

4 Moltiplicano le loro pene quelli che corrono dietro a un dio straniero.

Io non spanderò le loro libagioni di sangue, né pronuncerò con le mie labbra i loro nomi.

5 Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.

6 Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda.

7 Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi istruisce.

8 Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare.

9 Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro,

10 perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

11 Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.


Il salmo 15 è un fiducioso atto di consegna nelle mani di Dio. La serena e confidente invocazione di chi cerca rifugio nel Signore. Ma prima di entrare nel merito del tema odierno circa la necessità di affidarci nei momenti di precarietà, voglio sottolineare un paradosso che è tipico del Natale. Il mistero dell’incarnazione, infatti, altro non è che l’affidamento che Dio fa di se stesso all’intera umanità nel suo figlio Gesù. Il Natale è il mistero di un Dio che si affida, che si mette nelle mani dell’umanità. Si mette anche nelle mie mani. Noi battezzati siamo portatori di un Dio che si è affidato a noi perché, nostro tramite, possa raggiungere gli altri uomini. È un Dio che si affida per insegnarci a metterci, a nostra volta, nelle sue mani.

Ma cosa significa “affidarci”? Possiamo correre il rischio scadere nell’intimismo o di scivolare nella tentazione delle frasi a effetto, fatte di molta retorica e poca sostanza. Allora per porre in atto non solo il nostro desiderio, ma principalmente la nostra volontà di affidarci a Dio è indispensabile che ci concentriamo su quattro componenti fondamentali della persona umana: gli affetti, l’intelligenza, il corpo e l’anima.

Affidare gli affetti significa consegnare al Signore la nostra capacità di amare e il nostro desiderio/bisogno di essere amati. Nel messaggio di Benedetto XVI ai giovani, del 2007, leggiamo: «Ogni persona avverte il desiderio di amare e di essere amata. Eppure quant’è difficile amare, quanti errori e fallimenti devono registrarsi nell’amore! C’è persino chi giunge a dubitare che l’amore sia possibile. Ma se carenze affettive o delusioni sentimentali possono far pensare che amare sia un’utopia, un sogno irraggiungibile, bisogna forse rassegnarsi? No!». E, pertanto, il Pontefice emerito invitava a ravvivare «la fiducia nell’amore vero, fedele e forte; un amore che genera pace e gioia; un amore che lega le persone, facendole sentire libere nel reciproco rispetto». Al Signore affidiamo il nostro affetto perché sempre lo custodisca, lo purifichi e lo orienti.

Affidare l’intelligenza significa consegnargli il nostro desiderio e il nostro impegno di comprendere le cose, le circostanze e le persone. Di andare oltre le apparenze guardando gli altri con lo sguardo di Dio, quello sguardo che, solo, coglie la verità di ciò che siamo e di ciò sperimentiamo. Mettere nelle mani di Dio la nostra intelligenza significa anche far fruttificare le nostre capacità e sensibilità per la crescita nel bene nostra e degli altri. Consegnare la nostra intelligenza a Dio significa non essere precipitosi nei giudizi, non essere affrettati nelle decisioni, né imprudenti nelle azioni.

Affidare il corpo significa essere consapevoli che il Signore ci ha plasmato in maniera perfetta, mettendoci all’apice della creazione. Ed è proprio nel corpo e attraverso il corpo che noi viviamo il nostro tempo e ci disponiamo, andando oltre la caducità fisica che ci caratterizza, verso l’eternità. Quando guardiamo al nostro corpo pensiamo alla grande opportunità che il Signore ci ha dato attraverso di esso, per godere di tutti i doni della sua creazione. Il nostro corpo, e tutto il creato, ci svelano che ci attende qualcosa di più grande, di più bello e di definitivo. Alla fine della nostra vita gli consegneremo il nostro corpo, magari ferito, segnato dalle fatiche del tempo, dalle conseguenze dei nostri peccati, ma con la soddisfazione di averlo usato per realizzare nel bene la nostra vita e per la sua maggiore gloria.

Affidare la nostra anima significa, innanzitutto essere consapevoli di questa dimensione dell’uomo così cara e fondamentale per i cristiani. Nel compendio della Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: «L’anima spirituale non viene dai genitori, ma è creata direttamente da Dio, ed è immortale. Separandosi dal corpo al momento della morte, essa non perisce; si unirà nuovamente al corpo nel momento della risurrezione finale». L’anima è quella parte della nostra realtà che ci consente di non separarci da Dio. È quell’elemento attraverso il quale il Signore ci consente di sentirci sempre nelle sue mani.

L’anima quindi è il centro di unità di tutte le dimensioni della persona: affetto, intelligenza e corporeità. Tutte le unifica e le armonizza. L’anima è quello spazio di eternità, quella parte fondamentale di noi stessi che ci mette nelle condizioni di disporci all’incontro pieno con il Signore. Quando mettiamo la nostra anima nelle sue mani, gli stiamo consegnando, veramente, tutto noi stessi.

Don Giulio Madeddu


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