Dal Vangelo secondo Matteo (6,25-34)

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.


Oggi dedicheremo la nostra riflessione al tema dell’essenzialità, ovvero di cosa sia veramente essenziale nella nostra vita. Ma partiamo da una considerazione molto semplice e pratica: l’essenziale più che “pensato”, cioè fatto oggetto di riflessione, deve essere vissuto. E talvolta l’essenzialità, nella nostra vita, più che una scelta, è frutto di una situazione esterna, non voluta e, tanto meno, desiderata. Chissà quante volte abbiamo riflettuto sul fatto che ci siamo riempiti di mille cose. Basta guardare le nostre case. Penso innanzitutto a me. E penso, ad esempio, ad alcuni scatoloni rimasti ancora chiusi tra un trasferimento e l’altro in occasione dei miei cambiamenti di ministero. Cose mai più usate e anche dimenticate. Tutti cadiamo nella trappola del superfluo.

A questo proposito il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, attento lettore e interprete del nostro tempo, affermò che «Una società dei consumatori non può che essere una società dell’eccesso, del superfluo e dello scarto abbondante».

Riconosco che nella mia esperienza di predicatore, arrivando a questo periodo pre-natalizio è sempre “scattata” l’omelia sulla ricerca dell’essenziale e l’abbandono del superfluo in vista delle feste ormai vicine. Forse, sino all’ultimo Natale, nemmeno noi predicatori eravamo veramente convinti di ciò che dicevamo – magari rivolgendoci più agli altri che a noi stessi – perché a nostra volta immersi in un vortice culturale, sociale e commerciale dal quale noi stessi facciamo difficoltà a sottrarci.

E poi arriva il 2020. E arriva anche il Natale del 2020. E che ci piaccia o no, il 2020 ci sta dando un’occasione, unica, probabilmente irripetibile (ma non è detto!), di vivere un Natale nell’essenzialità o almeno alleggerito in molti suoi aspetti esteriori.

Se vivremo i prossimi giorni solo con il rimpianto “di ciò che non potremo fare”, e quindi a partire dalle privazioni, ci lasceremo sfuggire l’opportunità di vivere un Natale finalmente diverso, che per nostra scelta non avremo mai vissuto e che la storia ci sta mettendo di fronte, non per punizione, ma perché proprio la storia ci è maestra e, in certi momenti, utilizza metodi pedagogici, che potremmo anche non gradire, ma che risultano molto efficaci.

Come dicevo qualche giorno fa, precisamente nella meditazione della seconda novena, un “tempo di precarietà” ci consente di dare un colpo di freno alla frenesia e all’abitudinarietà della nostra vita per individuare meglio gli “idoli” di cui si è riempita. La maggior parte degli idoli della nostra esistenza non sono elementi in sé negativi, ma situazioni, anche buone, che però hanno preso il sopravvento facendoci dimenticare ciò che vale di più e ciò che vale di meno. La nostra vita si riempie di cose superflue nelle relazioni, negli oggetti, nei riti e abitudini quotidiani, tanto da non vivere più tanti aspetti della nostra esistenza con la gioia della novità, dell’inatteso, del gratuito. Se vogliamo assaporare il valore delle cose dobbiamo imparare a staccarci da esse. A pensarci bene, questo è anche il senso originario del digiuno cristiano che, prima di assumere una connotazione penitenziale, era concepito principalmente come un esercizio di distacco propedeutico a riassumere con maggiore consapevolezza, e una gioia più grande, ciò di cui mi ero precedentemente privato. Il distacco dal cibo, elemento essenziale per la nostra vita, ha un valore fortemente simbolico ed educativo per vivere nell’essenzialità. Infatti quando digiuno faccio il sacrificio di rendere meno ricca la mia mensa per gioire ancora di più al banchetto nel giorno della festa.

Ecco quindi un Natale che ci limita un po’ nei rapporti con gli altri, nella convivialità, nelle dinamiche commerciali e sociali tipiche di questa ricorrenza, ma che ci può far scoprire che per il cristiano l’essenziale deve essere il rapporto con Dio. Nonostante tutte le restrizioni, i cenoni mancati e gli eventuali regali non scartati, il Signore ci sta imbandendo la tavola della sua misericordia, per chi vuole riconciliarsi con lui attraverso il sacramento della penitenza, ci sta accogliendo alla mensa della sua parola, per chi veramente vuole mettersi in atteggiamento di ascolto della sua voce, ci invita al banchetto dell’Eucaristia, per chi è consapevole che senza questo cibo spirituale ci mancano le forze necessarie per affrontare il cammino della vita.

Veramente, in questi giorni, possano risuonare in tutta la loro forza e attualità le parole di Gesù: «Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

Ringraziamo il Signore per l’opportunità che ci sta dando, quest’anno, di vivere un Natale meno pagano e più orientato all’essenzialità: cioè la relazione sincera e piena con lui, scoperto veramente come “il Dio con noi” che non si dimentica mai dei suoi figli.

Don Giulio Madeddu


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21 dicembre – Tempo di precarietà: è il tempo dell’essenzialità
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