Omelia tenuta da don Nicola Ruggeri nel corso della messa in suffragio di don Alberto Pistolesi. Senorbì 9 dicembre 2021.
Ho chiesto apposta questo canto dell’Alleluia delle cosiddette “lampadine” perché è un canto che ha caratterizzato la messa dei bambini così come piaceva celebrare ad Alberto, e anche perché, in questo momento di profonda amarezza e di sgomento, forse è lui stesso che ci sta “percuotendo benevolmente” per dirci “non prendetevi troppo sul serio”.
Ed è quello noi che stiamo facendo forse troppo in questo periodo: cioè ci stiamo complicando e complessando. Alberto aveva sempre appresso una specie di kit con tanti “cacciavitini” e nel momento in cui ti vedeva troppo artefatto, troppo complesso ti smontava e ti semplificava. Non solo, ma riflettendo in questi giorni e vedendo questo “tsunami” di affetto verso di lui, mi son ho detto: “ma quest’uomo, questo ragazzo, questo amico, questo prete davvero aveva un passepartout capace di aprire ovunque”. Chiunque di noi gli avrebbe dato le chiavi di casa, ma ancora di più, le chiavi del cuore. In questo si è dimostrato davvero un padre, un padre spirituale. Perché dico un passepartout? Perché è riuscito davvero ad aprire i cuori più chiusi, ad avvicinare gli animi più titubanti, anche a rompere la rigidità degli scettici e qualche volta, con questa sua risata un po’ disarmante, anche a mettere in crisi quelli più agguerriti, quelli che starnutiscono al primo profumo di incenso. Quindi questo è un vero prodigio. La Parola di Dio che sempre deve guidare la nostra vita come ha guidato la sua, che era un profondo amante del Vangelo, tanto che riusciva a spiegarlo con grande semplicità, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato oggi è proprio quella del giovedì della seconda settimana di Avvento.
Voi sapete che Avvento vuol dire venuta, ci si prepara alla venuta del Signore, celebrando la prima venuta che è quella del Natale e poi ce n’è anche un’altra, quella che avverrà quando il Signore verrà per tutti. E non solo, tra queste due ce n’è anche un’altra in cui il Signore viene nella tua vita, e lui stava preparando la sua comunità al Natale, la Comunità di Sinnai, alla quale noi ci sentiamo profondamente legati non solo perché siamo sotto la protezione della stessa grande Vergine Martire Barbara, ma ci sentiamo legati perché abbiamo avuto lo stesso pastore. Ebbene, mentre lui preparava la comunità all’incontro col Signore, l’incontro è diventato terribile e affascinante nello stesso tempo, ha incontrato veramente Gesù. Questo c’era in Alberto: la capacità di calmare e di tranquillizzare. E questa parola che tante volte anche noi preparandoci al sacerdozio abbiamo sentito ripetere dal Rettore “non temete”, Alberto oggi ce la vuole rimbalzare “non aver paura, io vengo in aiuto”, “non temere vermiciattolo di Giacobbe”, fa anche un po’ ridere questa espressione, “vermiciattolo” indifeso, perché il vermiciattolo è esposto alle incursioni delle aquile, degli uccelli rapaci, “non temere perché io sto dalla tua parte”. Ringrazio veramente il Signore per aver avuto in Alberto uno che ha saputo fare questo, venire in aiuto di chiunque. Lui non aveva paura delle sfide, anzi probabilmente più la sfida era ardua più si buttava a capofitto con questa capacità di stare accanto al giovane, al ragazzo che magari si sentiva anche annoiato, un po’ vuoto dentro, che perdeva un po’ la bussola, all’anziano stanco, al bambino, alla famiglia. Lui entrava un po’ in tutte le case, nelle famiglie, (quanti di voi possono dirlo) e poi lo si sentiva uno di casa, non era artefatto, impostato, finto o ingessato. Era se stesso, ed è rarissimo – guardate – oggi essere se stessi, perché siamo sempre tentati di essere mutevoli e mutanti, un po’ camaleontici, quasi una cozzaglia di tanti aspetti, quelli che gli altri preferiscono da noi. Invece lui era sempre se stesso perché lui apparteneva a Cristo. E anche questa uscita di scena “col botto” direi c’era già nel suo modo di fare. Questo non perché fosse uno showman, uno che amava il sensazionale, ma perché viveva le cose così a pelle, con brio. Non gli piacevano gli adagi, amava “gli andanti con modo, allegretti”.
Alberto era così – non sto a spiegarveloperché mi capite benissimo. Il Vangelo che abbiamo ascoltato è bellissimo perché Gesù stavolta veramente si spertica in un vanto a Giovanni Battista: “tra i nati da donna non è nato uno di più grande di Giovanni Battista”. Perché? Perché Giovanni Battista ha avuto la capacità di essere urlo sopra le genti e svegliandole dal torpore in cui si trovavano e annunciando loro la venuta del Signore. E nel momento in cui il Signore si è avvicinato si è fatto piccolo, ma non si è sminuito. Noi abbiamo invece difficoltà un po’ a fare questo:abbiamo difficoltà a vivere la piccolezza, siamo sempre tentati dalle manie di grandezza, di dominio; e quando il Signore vuole anche venire nella nostra vita non trova molto spazio, perché siamo già pieni di tante altre cose, siamo già sazi. Come quando qualcuno ci invita a cena: “e cosa vieni a fare? Non mangi nulla perché sei già sazio”. A volte andiamo un pò così davanti al Signore, anche davanti alla fede.
Perché non sentiamo Gesù? Perché la nostra vita è già sazia e piena quasi da “vomitare”, siamo già pieni di tante cose. Ecco, come vi scrivevo in questi giorni invitandovi a questa celebrazione, è difficile affiancare sentimenti di gratitudine. Io mi sono sentito veramente toccato dalle parole di Sua Eccellenza di Monsignor Miglio, oltre che dalle parole dell’Arcivescovo, perché diceva “non so se veramente sono pronto a dire grazie, mi ci vorrà tempo” E’ bellissimo sentire parlare così un uomo di fede, un Vescovo. Forse anche a noi ci vorrà tempo, già, però intuiamo una cosa: questa vita così breve di Alberto ci dice qualcosa, ci sta chiedendo qualcosa, ci provoca, non può lasciarci indifferenti, perché lui – passatemi l’espressione –ha fatto un “gran casino” nella Diocesi, ha messo a soqquadro tutto, ha messo in discussione i nostri schemi, il nostro “si è sempre fatto così”, ma non tanto per la voglia di cambiare, piuttosto per l’urgenza. E ora ha trascinato anche noi, suoi amici, suoi confratelli e pian piano tutte le parrocchie hanno incominciato a prendere di nuovo colore.Siamo così passati dal monocromatico al colorato. E quali erano i discorsi che facevamo in questo periodo più volte?Mi ha detto una cosa che mi ha inquietato. Mi diceva: “Nico quello che stiamo vivendo a causa della pandemia c’era già”, diceva “guarda che la crisi che stiamo vivendo adesso col Covid, di abbandono, di apatia, c’era già” e anche lui avvertiva la fatica della ripresa.
A Sinnai lo guardavo un po’ incuriosito perché lo vedevo come parroco maturo, forte, sicuro, un po’ meno ragazzino perché siamo cresciuti insieme. Io ho una immagine bellissima che adesso vi farà un po’ ridere: nel 2009 ero viceparroco a Sanluri e d’estate decisi di trascorrere un mese in Germania. Mi arrivò una telefonata quando arrivai: “Oh dove sei?” Risposi: “dove sono? sono in Germania?”. E Lui. “In Germania? E cosa ci fai?”. Gli dissi: “Mi sto riposando, sto sostituendo un sacerdote”. E lui prontamente: “Ah mi faccio il biglietto e vengo”. Così trascorremmo 7-8 giorni bellissimi. Siamo andati a Monaco. Era la prima volta che visitavo Monaco. Li ci siamo bevuti un po’ di birra, allegramente, e ad un certo punto non ce la facevamo più e sotto la torre della BMW in un bel prato verde ci siamo addormentati, uno di fianco all’altro. In questi giorni mi tornano in mente queste immagini, uno di fianco all’altro. E così è bello quando ci coinvolgiamo nella vita degli altri, quando non ne siamo spettatori. Alberto non era spettatore della vita degli altri, era profondamente coinvolto e soffriva per tante cose. Ultimamente per esempio era un pò preoccupato per la vita dei preti, si sentiva responsabile nei confronti dei confratelli, specialmente per quelli soli o per quelli che hanno perso un po’ di entusiasmo e che si sono adagiati nel ministero.Nell’ultima riunione che abbiamo avuto in seminario mi diceva: “Sei pronto? Guarda che fra poco prendiamo in mano tutto noi”. Gli risposi scherzando : “Alberto già ce l’hanno con i preti quartesi, stai attento che non ti sentano. Ma cosa dobbiamo fare un feudo, una colonia?”. Invece lui voleva dire semplicemente che stavano arrivando tempi in cui avremmo dovuto fare squadra. Più volte ecco io ho condiviso la mia situazione, anche le mie difficoltà, la mia stanchezza e quella dell’oratorio, della vita in parrocchia. E lui era spesso era molto spartano nel parlare mi rispose rapidamente: “anche il campo deve riposare, tu hai seminato, hai irrigato e adesso il campo deve riposare. Poi ci ritorneremo”. Era molto saggio.
Ecco oggi io sono qua per Alberto, non per chiedergli miracoli, ma certamente per chiedergli che continui con il suo amore, il suo affetto a ispirarci una vita allegra, bella, una vita non giocata al ribasso. E con voi ragazzi aveva questo atteggiamento, quello che ho apprezzato tantissimo, come ha scritto Alessandro Orsini che conoscete tutti: “aveva la capacità ditirare fuori quello che sei”. Lo faceva con gli animatori nella PG. Poi un’altra cosa che condivido molto è che lui era un vero animatore, ci metteva l’anima nelle cose. Se non credeva in qualcosa, semplicemente non la faceva, ma se ci credeva ci metteva l’anima e non si accontentava. Forse anche lui era un po’ perfezionista, gli piacevano le cose fatte bene.
Quindi siamo qua per ringraziare il Signore, perché sempre tutto dobbiamo riferire a lui. Questo seme caduto in terra che muore, produce molto frutto se la sua morte è in Cristo e noi crediamo veramente che il nostro amico, fratello, sacerdote Alberto è morto in Cristo e la sua morte non è vana. Certo, ritorniamo sui discorsi del come, dei perché, perché che si stratificano uno sopra l’altro e non ci diamo pace. Chiediamo allora a lui che ci aiuti ad avere questa pace, a fidarci delle cose che fa Gesù o che permette e lo ringraziamo; ringraziamo il Signore per questo dono, questa meraviglia, questo prodigio.
Alberto era fatto formula chimica abbastanza particolare Alberto, perché avendolo conosciuto già ragazzo, seminarista, questo suo entusiasmo è cresciuto sempre di più. Era come una diga che si è riempita di entusiasmo, di sogni, che si è aperta, tanto che tante, tante, tante persone hanno potuto usufruire e godere di questa sua pienezza. Noi alla fine della messa vorremmo fare una cosa semplice con i ragazzi. Questa sua immagine che abbiamo realizzato, vorremmo metterla nel nostro oratorio. Lui animatore possa essere motivo per noi di rinascita.
Qui adesso Alberto te lo devo chiedere: devi essere “ri-animatore” e vedi cosa puoi provocarci e suscitarci, però credo che alcune cose stiano bollono già in pentola pian piano e ne stiano venendo fuori: dobbiamo semplicemente crederci. L’oratorio nato nel 2011 sarebbe bello che magari in una ri-animazione, in una rinascita e ripresa trovi un nuovo titolo: “Santa Barbara – Don Alberto Pistolesi”, perché no? Io credo che sia importante, non so se i tempi siano maturi ma se voi siete d’accordo possiamo farlo. E’però ovviamente impegnativo. Mettere quel nome li è impegnativo. Vuol dire che dobbiamo impegnarci, dobbiamo darci da fare. Lui ha fatto solo due anni qua a Senorbì. Li paragono alla brevità della sua vita, due ma intensi, 42 ma intesi. Allora Alberto ti affidiamo a Gesù. Poi hai accanto la Madonna Immacolata e Santa Barbara che ti ha guidato:l’hai incontrata come prima tua Patrona e poi nel giorno della sua festa lei ti ha voluto accanto a se. Non smetterò mai di pensare a queste strane coincidenze o dioincidenze, come qualcuno dice. Però certamente vogliamo dirti grazie, grazie e forse anche qualche “scusa” (questo ce lo diciamo in privato): scusa se non abbiamo capito subito quello che c’era nel tuo cuore e c’era nel tuo entusiasmo.
Allora continuiamo a pregare amici. Io nel mese di gennaio conto di celebrare le messe gregoriane per Alberto tutti i giorni, probabilmente alcune volte alle 7.30 altre volte di sera, sono 30 messe. Anche altri sacerdoti, amici di seminario, compagni di altre diocesi si sono organizzati per celebrare tante messe per ricordarlo. Sicuramente se invitassi ciascuno di voi a raccontare cose di lui sarebbe un bellissimo mosaico, ecco però vogliamo leggere tutta la sua storia alla luce di quel Gesù che lui ha amato e servito, che lo ha travolto, che lo ha consumato, veramente in questo ardore che è sempre stato nel suo petto.